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La storia di Gennarino

“Gennarino é nato a Scampia, non ha scelto dove nascere, non ha scelto con chi crescere… Gennarino ha scelto tutto il resto”

-Gennarí dove stavi? Ti stavamo aspettando…
-Stavo a scuola, quella la maestra parlava e non la finiva piú…
I tre ragazzini risero con gusto, finché il piú cicciottelo, con guance rosse e cresta gelatinata disse:
-E che vai ancora a scuola tu? Ma tua mamma non te l’ha detto che i laureati non trovano lavoro e non c’hanno na lira? Che vuoi fare pure tu lo sfigato laureato?
-No, no, é che poi a mia mamma chi la sente…
-Vabbuò Gennarí, facciamo finta di non sapere che ti cachi sotto di fare filone a scuola!
Tutti ridevano, mentre Gennarino, divenne color pomodoro, cercando di disegnare sul volto un sorrisetto imbarazzante.
-Io non ho paura di niente avete capito?!
Piú distante, seduto sulla sella del suo motorino, a braccia conserte, Luigi, detto “Giggino recchia” per via del suo orecchio destro visibilmente a sventola, si godeva la scena. Luigi era ben piú grande di quei ragazzini, aveva già 17 anni, ma portava già automobili truccate e motociclette potenti. A sentire le parole di Gennarino, Luigi si avvicinò al moccioso e disse:
-Che hai detto? Non tieni paura di niente tu? Fammi vedere, facci vedere a tutti quanti, prendi questa e spara quella micia laggiú!
Giggino recchia, aveva appena tirato dai pantaloni una pistola nera luccicante e tenendola per la canna, spingeva l’impugnatura dell’arma sul petto di Gennarino.
Gennarino immobilizzato per diversi secondi, con la mano tremolante, afferrò l’arma e guardò il gattino lí, a pochi metri da lui, che lo fissava ignaro.
-Vai Gennarí! Mo lo devi fare, che te ne fotte, non é nemmeno un cristiano. Premi il grilletto e ammazza quell’animale!
Gennarino aveva paura che il suo cuore potesse uscire dal petto da un momento all’altro, non era mai andato così forte. Non era in grado di controllare il suo respiro affannoso e non riusciva a capire se le sue braccia fossero immobilizzate o se la pistola era troppo pesante per puntarla.
Dall’altra parte il gattino lo fissava, come se avesse capito qualcosa, come se fosse anch’esso in attesa di una scelta.
Le voci dei bulletti nelle orecchie di Gennarino sembravano a rallenty:
-Gennarí vai! spara Gennarí!
-Vabbuò dammi qua! disse Luigi strappando la pistola dalle mani di Gennarino.
-Non tieni paura di niente? Sei un cacasotto Gennarí!
Giggino recchia, ridendo di gusto, ripose la pistola nei pantaloni, ed accendendo una sigaretta, si mise in sella e partí sul suo motorino 125.

Gennarino era ancora lí, immobile, con gli occhi che cercavano di trattenere le lacrime, con il respiro che andava via via stabilizzandosi, fissando il vuoto.
-Gennarí! Ma sei vivo? Io lo sapevo che tu non c’avevi la cazzimma! Mio padre me lo dice sempre: “Giulià, nella vita ci vuole la cazzimma!”. Se non ciai la cazzimma, allora tutti se ne approfittano. Mica abbiamo chiesto noi di nascere qua, è una cosa che ha voluto Dio…
Gennarino si riprese di colpo:
-Come l’ha voluto Dio?
-E certo Gennarì, quello Dio non sbaglia mai, se ti ha fatto nascere qua, un motivo ci sarà, se ti voleva far diventare avvocato quello ti faceva nascere a Milano, mica a Scampia… Guarda a mio cugino, quello se ne sta tutto il giorno nelle vele, lo pagano bene e gli hanno dato pure una pistola. Così una volta al mese cambia macchina, e le femmine gli stanno sempre dietro.
Enzuccio, alle sue spalle esclamò:
-chiattò, a te le femmine non ti vanno dietro nemmeno se c’hai un bazooka!
Tutti scoppiarono a ridere ed anche Gennarino si sforzò di farlo, ma nella mente aveva ormai quel dilemma: sembrava logico, Dio non faceva mai accadere cose senza senso.

Quella notte Gennarino fissava il soffitto della sua camera avvolto dal dilemma. Non poteva scegliere; chi era lui per andare contro a Dio? Il Signore aveva scelto di farlo nascere lì, in quel quartiere, in quella famiglia e con quegli amici…
-Gennarí! Corri, vieni a vedere che é successo!
La voce di Enzuccio. Gennarino si affacciò alla finestra, e vide luci di sirene nel quartiere.
Di corsa Gennarino raggiunse il gruppetto di amici, e vide Giuliano gridare a squarciagola, insieme al padre, qualche parente e la gente del quartiere:
-Schifosi! Figli di cagna! Infami bastardi!
Gennarino non riusciva a vedere cosa stesse succedendo per via della folla, quindi gattonando, riuscì a passare tra le gambe della gente e senza accorgersene, si ritrovò proprio avanti a tutti.
Ciro, il cugino di Giuliano, era ammanettato e portato nell’auto con le sirene accese. Non riusciva a vedere bene, accecato dal faro dell’auto, finché qualcuno non si intrappose facendogli ombra.
-Come ti chiami? Chiese un uomo col cappello blu.
-Ge… mi chiamo Gennaro.
Gennarino non sapeva perché proprio a lui fece quella domanda, forse perché era l’unico che non gridava, forse perché si era trovato lí davanti, ma l’uomo non sembrava intimorito da tutta quella gente, era sereno e deciso, come se avesse scelto volutamente quella condizione.
-Solo tu, puoi decidere chi essere.
Poche, semplici parole di quell’uomo, donarono pace al cuore ed alla mente di Gennarino.

-Gennà! Svegliati che fai tardi a lavoro! Ma che? Hai fatto di nuovo lo stesso sogno?
Disse la donna dai riccioli neri fissando Gennaro nel letto.
Gennaro non rispose, si alzò, e si fissò allo specchio.
Mentre indossava la divisa blu ed il cinturone bianco disse alla donna:
-Comunque non é un sogno… Adesso é realtà!

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