L’effetto Trump sul clima

Il neo presidente eletto Joseph R. Biden Jr. utilizzerà i prossimi quattro anni per cercare di ripristinare le politiche ambientali che il suo predecessore ha metodicamente fatto saltare, ma il danno provocato dall’inquinamento da gas serra scatenato dalle azioni del presidente Trump potrebbe rivelarsi una delle eredità più scomode e profonde del suo unico mandato.

La maggior parte delle politiche ambientali di Trump, che hanno cancellato o allentato quasi 100 norme e regolamenti sull’inquinamento dell’aria, dell’acqua e dell’atmosfera, possono essere invertite, anche se non immediatamente. Gli inquinanti come la fuliggine industriale e le sostanze chimiche possono avere effetti duraturi sulla salute, specialmente nelle comunità dove sono più concentrati, ma la qualità dell’aria e la limpidezza dell’acqua possono essere ripristinate una volta che le emissioni vengono rimesse sotto controllo.

Questo non è vero per il clima globale. L’inquinamento da effetto serra si accumula nell’atmosfera, quindi i gas che intrappolano il calore emessi a seguito dell’allentamento delle normative, rimarranno per decenni, indipendentemente dai cambiamenti nella politica.

Le politiche di riduzione delle emissioni di Trump sono arrivate in un momento critico: negli ultimi quattro anni, il livello globale di gas serra nell’atmosfera ha superato una soglia di concentrazione atmosferica a lungo temuta. Ora, molti degli effetti più dannosi del cambiamento climatico, tra cui l’innalzamento del livello del mare, forti tempeste, caldo devastante, siccità ed incendi, sono irreversibili.

Mentre il nuovo presidente Biden lavora per attuare le regole interne sul cambiamento climatico e rientrare nell’accordo di Parigi, le emissioni attribuibili alle azioni dell’ex inquilino della casa bianca (anche se per ora non disposto a ritenersi tale) continueranno, affossando il pianeta nella spiacevole zona di pericolo da cui è difficile uscire.

Gli scienziati hanno da tempo evidenziato come i gas serra nell’atmosfera superando le 400 parti per milione, amplifichino notevolmente le difficoltà nel mantenere il riscaldamento sotto i 2 gradi Celsius. L’accordo sul clima di Parigi ha evidentemente fallito nel suo intento, garantendo per ora al pianeta un destino di innalzamento dei livelli del mare, tempeste più forti, siccità diffusa e ondate di caldo torrido.

I livelli di anidride carbonica nell’atmosfera hanno raggiunto per la prima volta 400 parti per milione nel 2016, l’anno in cui è stato eletto Trump, ma l’ex presidente ha messo la crescita economica al di sopra degli obiettivi di emissione, sostenendo che il clima e altre normative ambientali stavano danneggiando la creazione di posti di lavoro.

Secondo gli economisti il rollback delle regole sul cambiamento climatico da parte di Trump non ha effettivamente sostenuto l’economia. I posti di lavoro nel settore automobilistico sono in calo dall’inizio del 2019. La produzione statunitense di carbone lo scorso anno è scesa al livello più basso dal 1978 . A settembre, il governo francese ha bloccato un contratto da 7 miliardi di dollari per l’acquisto di gas naturale americano , sostenendo che il gas prodotto senza controlli sulle perdite di metano era troppo dannoso per il clima.

Nel frattempo, a maggio, i livelli di anidride carbonica hanno raggiunto le 417 parti per milione, il livello più alto mai registrato nella storia umana (vedi grafico qui sotto).

Le emissioni globali nel 2020 sono molto più alte di 10, 20 o 30 anni fa, ciò significa che un anno sprecato nell’amministrazione Trump per non agire sul clima ha conseguenze molto più grandi di un anno sprecato da Ronald Reagan o George W. Bush o l’amministrazione di Bill Clinton.

Gli analisti affermano che gli ultimi quattro anni hanno rappresentato una finestra di chiusura in cui le più grandi economie inquinanti del mondo, lavorando insieme, avrebbero potuto tracciare un percorso verso il rallentamento del tasso di emissioni di riscaldamento del pianeta. Per fare ciò, un rapporto scientifico del 2018 ha rilevato che le economie mondiali avrebbero bisogno di ridurre le emissioni del 45% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2030 e le politiche per farlo dovrebbero essere attuate rapidamente.

Una recente analisi del Rhodium Group, un’organizzazione di ricerca apartitica, ha scoperto che se i cinque più grandi rollback del controllo climatico di Trump, comprese le norme sulle emissioni di anidride carbonica dai tubi di scappamento delle auto, dalle centrali elettriche e le perdite di metano dai pozzi di petrolio e gas, dovessero andare avanti, altri 1,8 miliardi di tonnellate di gas serra sarebbero nell’atmosfera entro il 2035. Producendo più delle emissioni emesse da Germania, Gran Bretagna e Canada messe insieme in un solo anno.

Supponendo che il neo presidente degli USA riesca a reimplementarle, passerebbero due anni prima che tali regole siano legalmente finalizzate, con conseguente aumento delle emissioni.

Inoltre, non è certo che Mister Biden sarà in grado di ripristinare tutte quelle regole, per non parlare di renderle più stringenti. L’amministrazione Biden può ripristinare legalmente le protezioni ambientali su alcuni terreni pubblici che Trump ha aperto alla perforazione di petrolio e gas, ma l’uso dell’autorità esecutiva per scrivere regolamenti di vasta portata sulle emissioni di ciminiere e tubi di scappamento potrebbe essere più problematico soprattutto con una Corte Suprema conservatrice numericamente superiore.

Nel frattempo, le azioni di Trump, a livello nazionale e internazionale, hanno contribuito a incoraggiare i leader di altre importanti economie a indebolire i loro standard di emissioni. Il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, per esempio, si è ispirato a Trump sulle questioni climatiche, definendo il movimento per ridurre il riscaldamento globale un complotto dei “marxisti” per soffocare la crescita economica. Idem per il primo ministro australiano, Scott Morrison , che ha ignorato il legame tra cambiamento climatico ed incendi, mentre promuoveva l’uso del carbone.

E’ decisamente difficile immaginare il ritorno degli Stati Uniti nel ruolo di leadership climatica che avevano quando Obama ha contribuito a firmare l’accordo di Parigi. Probabilmente dovranno riuscire a rinunciare alla propria posizione di leader unico ed individuale ed iniziare a lavorare all’interno di una partnership competitiva con l’UE e la Cina, e stavolta potrebbe non essere una brutta cosa nemmeno dal punto di vista degli americani.

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